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La scuola italiana: l’EduCastrazione totalitaria

Pubblicato il: 15/06/2010 17:09:46 -


Non c’è spazio per l’oltre-cattedra. C’è un libro, una persona che detta pagine, un gregge che porta il segno. Ci sono penne e quadratini da riempire. E il conto alla rovescia per la fine dell’ora. Chiuso il libro, chiuso il capitolo, chiuso lo studente. Parola di studente.
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Quando a gennaio incontrai per la prima volta il Professor Luigi Berlinguer per una chiacchierata, non avevo mai osato mettere in discussione ciò che mi sovrastava nella scuola. Da buon liceale dicevo di sì, i punti interrogativi erano “problema mio”. Sono stati il suo sguardo sottile, le sue parole infuocate, il suo rammarico vivace a spingermi a considerare il problema “scuola” come un vero problema. “Vogliono ammazzare la scuola italiana” disse quasi urlando all’inizio del nostro incontro. “C’è da sempre una resistenza, una parte di gente che ama continuare a crogiolarsi nel suo piccolo passato”. I celebri gentiliani, coloro che… “sì, punto e basta!”. Andrebbe a pennello, per loro, un arguto neologismo inventato da Mario Mieli una trentina di anni fa: EduCastrazione. Un termine che in poche lettere bene inquadra gran parte dell’istruzione italiana odierna. Una education che si è distorta a squallida castrazione del sapere. Una scuola dove l’ex-ducere maieutico, si è trasformato in un volgare in-ducere totalitario.

Non c’è spazio per l’oltre-cattedra. C’è un libro, una persona che detta pagine, un gregge che porta il segno. Esclusivo compito del gregge è portare il segno. Portare su di sé il segno indelebile di un saporito nulla di tutto. E ciò che viene impartito è proprio questo: un po’ di niente riguardo a un po’ di tutto. Ci sono penne e quadratini da riempire. E il conto alla rovescia per la fine dell’ora. Chiuso il libro, chiuso il capitolo, chiuso lo studente. “Questo è il sapere, racchiuso in queste 458 pagine ben rilegate e schematizzate. Imparate tutto, il prima possibile!” dice affannato il docente dell’ultima ora.

In un certo senso il paradigma della produzione di massa si riflette bene nel “tutto e subito” della nozione. Scalare la montagna del fine-libro per potersi definire arrivati. Rispettare rigidamente i canali della burocrazia, per snocciolare la Cultura all’attento uditore.

È simpatico, però, sapere che già millenni fa c’era qualcuno che la pensava diversamente. “Le cose più importanti non ve le ho scritte” perché la vera cultura è quella non trasmissibile. Lo dice Platone, e più di lui il grande maestro del non sapere, il primo pedagogo della storia: Socrate.

Ma se cattedre e libri sono così demonizzati dalla rivoluzione educativa, allora quale sarebbe il compito della scuola? Non a caso è ancora il mondo socratico a suggerirci uno spunto: il sapiente è colui che sa, il saggio è colui che sa agire.

Ecco, la scuola dovrebbe forse insegnare ad agire, piuttosto che semplicemente insegnare a sapere. La conoscenza sia funzionale alla competenza. C’è tempo per conoscere la formula di Prostaferesi, ma non c’è molto tempo per acquisire un metodo che ci faccia spaziare da quella alle altre centocinquantasettemila formule della matematica e della fisica.

Lo dirà più di due millenni dopo Beaumarchais, per bocca del suo spassoso Barbiere di Siviglia: “Pour gagner du bien, le savoir faire vaut mieux que le savoir”. Il saper fare vale molto di più del semplice sapere. D’altro canto, l’impartizione rigida della conoscenza potrebbe ben considerarsi un simbolo totalitario dell’onnipotenza scientifica del genere umano. L’uomo che ha sconfitto la sua finitezza in circa 200mila anni, con scoperte e invenzioni, non accetta certo di far ripercorre al suo cucciolo tutta la scalata verso la conquista individuale e sperimentale del sapere. Ciò che si è conquistato deve essere dettato, integralmente e rapidamente, per far evolvere sempre di più la macchina-uomo.O forse è solo molto più semplice fare così. Quando un bimbo chiese a un pescatore di insegnargli a pescare, il pescatore gli portò un secchio di pesci e lo mandò a casa con una pacca sul sedere.

L’accesso alla nozione è considerato molto più vantaggioso della conquista della cultura. La nozione, infatti, costa poco e frutta molto. La cultura, invece, costa molto e crea non pochi problemi per gli establishment del potere.

La scuola del sì-punto-e-basta annienta la scuola dei perché. Tra l’intellettuale e il cittadino, l’Italia ha scelto l’impiegato. Impiegati educastrati che sanno bene cosa dire, ma molto poco cosa fare.

Gianclaudio Malgieri

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